Dicono di noi

Se mi avessero proposto di trascorrere Ferragosto a tagliare salici e a levigare tronchi di legno in Bielorussia, probabilmente mi sarei lasciato andare in una grossa risata prima e in qualche improperio poi … o forse no. Già, a pensarci bene non l’avrei mai fatto per via della mia curiosità e del mio spirito d’avventura e conoscenza, che in fondo è ciò che mi ha spinto a tuffarmi nel mondo di Esplora.

Le informazioni racimolate su internet e il racconto dei partecipanti delle edizioni precedenti sono state sufficienti a far crescere in me la voglia di partire per l’ultimo di un ciclo triennale di European Work Camps: essendo un novellino del progetto, non avevo quasi per nulla idea di cosa, concretamente, mi aspettasse a Minsk.

Che poi succede sempre così, solo riflettendo a freddo su ciò che si è fatto e vissuto si è in grado di analizzare criticamente le modalità e le dinamiche che hanno permesso la formazione del gruppo, obietti vo primario di ogni progetto o iniziatica come questa: ecco allora che, sia durante i reflection groups dopo le attività di ogni giorno, ma soprattutto una volta rientrato a casa, ho compreso che il nostro gruppo, composto da italiani, tedeschi e bielorussi  dai 15 ai 24 anni, si è cementato proprio grazie alle dinamiche insite nelle attività di lavoro, ossia durante il work time, vera peculiarità  di EWOCA3.

Riunirsi in un determinato luogo, selezionare materiali e attrezzi, dividersi i compiti, il tutto finalizzato alla realizzazione di un obiettivo comune, sono state le chiavi del successo delle due settimane trascorse nella serenità della campagna bielorussa, e per me è stato davvero sorprendente notare quanto il lavoro manuale possa fungere da collante fra ragazzi di lingua e cultura diversa, stimolando la collaborazione, favorendo l’incremento del senso di responsabilità individuale al servizio del gruppo e, in generale, giocando il ruolo di team builder forse meglio di qualsiasi attività studiata a questo fine.

Il contatto fisico, i gesti e lo scambio di conoscenze tecniche ci hanno permesso di superare l’ostacolo più grande, la lingua inglese, vero tallone d’Achille per la maggior parte del gruppo. Ciononostante, tuttavia, l’integrazione e la voglia di mettersi in gioco hanno garantito ugualmente un elevato livello comunicativo per mezzo del quale tutti i progetti sono stati portati a termine e, anzi, non c’è stato nessuno che di propria spontanea volontà non abbia deciso di aggregarsi agli altri gruppi per dare una mano, così da poter tornare nel rispettivo working group con conoscenze e tecniche sempre nuove e tanti suggerimenti per lavorare meglio ed abbellire i progetti “in cantiere”, che hanno portato alla realizzazione di una green classroom, di uno stone path in mattoncini bianchi e neri per constatare la differente capacità di assorbimento del calore propria di questi due colori; inoltre è stato realizzato un flower garden, un graffito con lo stemma di EWOCA3 ed infine alcuni tra i più volenterosi si sono distinti per aver ripulito il fondo di una vecchia piscina, ormai ridotta ad un triste recipiente di fanghiglia e mattoni frantumati.

Come ho già detto, il working time ha favorito la formazione di un gruppo, di una vera e propria squadra, e questi risultati si sono ovviamente riscontrati anche durante il free time serale: tutti insieme nella meeting room interna o esterna, fra musica, chiacchiere e risate ogni giorno sempre meno timide e più sincere, di quelle che porti in valigia fino a casa e che custodisci gelosamente, di quelle che nessuna foto o nessun post sui social sarà mai tanto potente da farle rivivere.

Sincerità, rispetto e responsabilità nei confronti del prossimo, posso  infine riassumere con queste tre parole chiave quelli che sono stati i frutti di EWOCA3 2017, ed emblematica, in estrema sintesi, penso che sia la mia ultima notte: dopo la consegna degli attestati YouthPass e dopo aver ballato per rincuorare chi già cominciava a singhiozzare, sono salito in camera ad ultimare la valigia. Il corridoio deserto suggeriva che ero forse l’unico su tutto il piano, in quel momento, ma le valigie dei miei compagni di stanza ancora in disordine sembravano dirmi che c’era ancora del tempo …

In meno di cinque minuti ho tolto piumone e coperta dal mio letto e sono sceso giù, di fianco alla meeting room esterna, davanti al fuoco insieme a tutti gli altri. Da quel momento i ricordi si confondono fra il chiarore delle fiamme, il suono del piccolo stereo e il sibilo delle voci di chi chiacchierava o canticchiava, con l’alta chioma di un pino ad attrarre a sé i lapilli, le nostre parole ed i nostri pensieri.

Poi ricordo solo che Fabian, il ragazzo tedesco che da solo ha realizzato il graffito, mi ha svegliato intorno alle 3:30  per dirmi che avrei fatto meglio a rientrare per stare almeno un paio d’ore su un materasso morbido e al caldo, siccome alle 6:30 il gruppo italiano sarebbe dovuto partire per l’aeroporto, mentre lui e tutti gli altri tedeschi sarebbero andati via più tardi, verso ora di pranzo. La spontaneità del gesto di Fabian rivela il valore del rapporto instauratosi fra tutti noi in quei quattordici giorni, un rapporto di amicizia, vera, come le lacrime dei bielorussi che ci hanno salutato all’aeroporto e come le parole di chi ha detto “never say goodbye because goodbye means never see again and never see again means forget”.

Un rapporto forte e diverso da tutti quelli instaurati durante le mie esperienze precedenti, vero e sincero come il desiderio di portare a termine il proprio progetto, reso possibile grazie al lavoro di gruppo e alla collaborazione di tutti, a dimostrazione del fatto che, uniti, si può  ottenere raggiungere qualsiasi obiettivo.

#YESWECAMP

 

Simone